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Venerus: “Non vivo a compartimenti stagni”

Venerus ci ha parlato del suo essere, del suo cognome e del fatto che non vive a compartimenti stagni. Leggi e ascolta l’intervista!

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Venerus: “Non vivo a compartimenti stagni”

 

Qui di seguito vi riportiamo l’intervista di Diego Belfiore a Venerus, all’interno di Giovane Fuoriclasse: il programma serale di Radio LatteMiele in onda ogni giovedì dalle 21.00.

1_ Sei un maestro, un insegnate per tutti i giovani artisti emergenti. Il 19 febbraio 2021 è uscito il tuo nuovo album “Magica Musica”. Stai “guardando le cose da lontano” come avevi detto? Come ti sembrano?

Le sto guardando abbastanza da lontano. Ti dirò a verità: pubblicare un disco rimanendo in casa è una sensazione strana. Da certi punti di visti, cambiano le prospettive. Da altri, la tua quotidianità rimane la stessa.

Per come sono fatto io che analizzo tutto approfonditamente, sono un po’ splittato: sono molto contento perché ci stavo lavorando da tanto tempo ma ho sete di capire cosa sta succedendo.

2_ Sei stato fortunato ad avere “Venerus” come cognome d’arte.

In realtà, quando ero piccolo mi faceva sentire un po’ strano. Credo abbia contribuito un po’ allo sviluppo della mia personalità. Sono stato fortunato: volevo dare al mio progetto un nome che rispecchiasse me stesso, la mia crescita e mi lasciasse libero di cambiare nel tempo.

Non dovermi inventare nulla, avendolo già, mi ha aiutato.

3_ “Venerus” ti ha consentito di estraniarti un po’ dal personaggio che si crea quando si inventa un nome d’arte. Questo perché, per te non si tratta di un alter ego ma di un cognome.

È vero. A tratti può complicare un po’ le cose. Ci sono stati momenti in cui era difficile scindere la vita musicale – non mi piace chiamarla lavorativa – da quella privata.

La mia musica parla di me. Le cose che faccio permeano le mie giornate. Non vivo a compartimenti stagni. Diciamo che non è male avere un’idea di chi sei e cosa fai.

4_ Ti chiedi mai se non ci fosse stata la musica, chi sarebbe stato Andrea?

Non lo so. La musica è tra i ricordi più antichi che ho della mia esistenza. I primi ricordi della mia infanzia sono legati ai dischi di mio padre che metteva alla mattina. Mi piacciono tantissime cose in realtà.

Il talento, secondo me, distrae molto dalla vocazione. Se una persona è portata a fare qualcosa non necessariamente è l’unica cosa che avrebbe potuto fare. Magari il talento, ti indirizza verso la tal strada quando invece, avresti potuto intraprendere un altro tipo di percorso. Sicuramente farò musica tutta la vita ma non mi sento vincolato.

Venerus: “Non vivo a compartimenti stagni”

5_ Ti sarà facile trovare artisti con cui collaborare. Nel singolo “Appartamento” è presente Frah Quintale. Come mai hai scelto lui?

In realtà, per come concepisco io il lavorare con gli altri artisti, mi piace pensare che la voglia di collaborare arrivi direttamente da loro e non dalle dinamiche discografiche.

Avevo sentito suonare Frah al Mia Ami Festival nel 2018 ed ero rimasto molto impressionato dal suo modo di suonare dal vivo. Ha una voce molto bella. Sinceramente in Italia non mi capita spesso di andare ai concerti di qualcuno, per mio gusto personale.

Mi era rimasto il pallino. A livello di sound è il cantante che mi ha sempre convinto, di cui ho rispettato di più il percorso. È stato molto naturale incontrarsi a casa e metterci al lavoro.

6_ Quando hai scritto “Appartamento” pensavi già a una sua presenza a livello musicale o era solo tua la canzone?

Ho scritto il beat in dieci minuti. Era parte di un esperimento che avevo fatto con Mace: ci prefissavamo di creare vari loop di batteria e per poi realizzarci sopra dei beat in mezzora. C’è stata una giornata in cui ne abbiamo fatto otto in quattro ore.

Tra quelli c’era anche la base di “Appartamento”. Ho deciso di far sentire a Frah due opzioni e lui ha scelto. Poi abbiamo scritto insieme la canzone.

7_ Ti è servito in qualche modo fare questi “esercizi tecnici” con Mace nell’aspetto creativo più puro?

Le due capacità sono in funzione della creatività nel senso che, il saper suonare degli strumenti, produrre musica, arrangiare non è la creatività stessa. La creatività è tutto ciò che banalmente è il flusso di idee.

Io la vivo così: ciò che faccio è in funzione della creatività, sia fisicamente sia mentalmente. Negli ultimi tre anni ho fatto molta più musica di quanta ne ho mai fatta uscire. Anche lavorando a casa di altre persone, avrò realizzato 200 pezzi!

8_ Mi ha sorpreso sentirti parlare di beat. Hai una musicalità complessa che fuoriesce dalle strutture del pop classico. Hai dei riferimenti al pop ma non lo sei propriamente. Di solito parti da qualcosa, nella scrittura della canzone, o è casuale?

Ci sono casi e casi. Quel tipo di canzone è nata da un beat e si sviluppata. Non esiste un unico metodo. Dipende dal giorno, da come ti svegli.

Casuale. C’è il giorno in cui mi sveglio e faccio un beat, non ho voglia di fare nulla, in cui sento un suono che mi piace in un documentario e lo registro, mi metto al sinth e suono per tre ore…

Una canzone è particolarmente un miracolo. Posso fare musica tutti i giorni ma non è detto che faccia una canzone al giorno.

10_ Nel tuo periodo londinese, in un’intervista hai raccontato che studiavi in accademia ma ti sentivi estraneo a quel mondo perché “non eri convinto fosse il posto in cui coltivare la creatività”. Volevi evadere dallo studio?

Il posto in cui si coltiva la creatività è la mente. È un discorso a parte. Consiglio di vivere l’esperienza accademica come una palestra intellettuale e fisica. Suonare uno strumento significa sia capire la musica sia sviluppare una memoria muscolare.

Sono molto fan dello studio ma lo separo dalla pratica di coltivare la creatività. Quest’ultima deve essere innata: se ti devi allenare, probabilmente non sei una persona creativa. Se invece l’hai già, sicuramente puoi approfondirla.

Io sono in un momento della mia vita in cui mi sento di espandere molto i miei confini. Faccio ricerca e prendo lezioni di piano per avere un confronto con il mio maestro, in modo da capire come esibirmi nei live.

11_ Volevi arrivare fuori dall’Italia con la tua musica. Perché hai scelto di cantare in italiano?

È il mio obiettivo. Non mi interessa sparare nel mucchio e sperare di farcela. Mi interessa che il mio percorso mi porti all’estero. Io sono italiano e canto in italiano. La mia storia personale non mi dà un motivo sufficiente per scrivere in inglese, anche se ho vissuto cinque anni in Inghilterra.

Anche se parlo inglese e ascolto prevalentemente musica estera, è una questione di rilevanza artistica. Sono un artista italiano: non mi interessa far finta di essere straniero, non mi rispecchia.

12_ Che consiglio daresti ai giovani che si affacciano al mondo della musica?

In senso molto lato, di fondare la propria religione. Con questo intendo dire, non nel senso di ego, di seguire le proprie regole.

Per me è sbagliato sentire il bisogno di conformarsi alle modalità di oggi (funziona così, devo fare così, usare i social…). Nel momento in cui capisci queste regole, sei già in ritardo di anni rispetto al mondo. A questo punto vale la pena fare la musica che ti piace e vedere poi che succede.

Non c’è cosa peggiore di riuscire facendo una cosa che non ti piace, rispetto a metterci più tempo e magari realizzare qualcosa di più piccolo che ti appassiona.

Il mio consiglio pratico è non avere fretta di fare il cantante. Io ho cominciato nel 2015, ho fatto tanti anni di lavoro e gavetta. Se ci metti sette anni a fare un disco che ne vale la pena, ne è valsa la pena!

Written by Redazione Lattemiele

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